Il mio Rajastan
Non voglio fare un libro fotografico. Sto semplicemente raccogliendo le visioni che hanno accompagnato il mio viaggio in Rajasthan. Un quaderno personale dove racconto una lunga, infinita serie di forti sussulti emotivi che hanno accompagnato il mio breve viaggio. Questo è un regalo da condividere con gli amici più cari.
Vedere un nuovo paesaggio è un’esperienza. Guardare un nuovo paesaggio è un’esperienza da raccontare. Guardare l’India è ancora di più, è un brivido continuo che ti accompagna dall’inizio alla fine. Dico questo perché non c’è un progetto dietro la mia selezione di immagini. Non c’è nemmeno una descrizione. Non c’è una rappresentazione. C’è piuttosto uno stato d’animo sensibilmente condizionato dalle violente rivelazioni visive che ogni passo del viaggio mi ha riservato. Dico sempre che la fotografia racconta più cosa succede dietro il mirino della macchina fotografica di quanto si veda davanti all’obbiettivo. Questo assunto non è mai stato più vero.
La fotografia è un grande mezzo espressivo. È un linguaggio contemporaneo. Ti permette dei racconti fantastici, non comunica verità pur dicendo sempre il vero, anche se soggettivo. La sincerità dell’immagine però dimentica altre forti esperienze con cui l’India ti avvolge per intero. I suoni e i rumori. I profumi e le puzze. Per goderti appieno le immagini che ti sto presentando devi dare fondo a tutta la tua immaginazione. Clacson, tamburi, campanelli, voci grida, suoni, canti. Li devi sentire come se avessi un altoparlante segreto sotto al foglio. E poi apri il tuo naso, o piuttosto tappatelo, perché molto spesso la puzza fetida e irrespirabile ti sconvolge ed è superiore a ogni profumo esistente.
È stata una piccola avventura. Viaggiare ai tempi del coronavirus è condizionante. Tutto è cominciato con il ritornello quotidiano, parto o non parto? Poi tutto è proseguito con l’altro ritornello più che quotidiano, torno o non torno? Scrivendo ci rido sopra, ma i giorni sono stati avvolti da questo leitmotiv poco rassicurante. Entrare in un pronto soccorso della provincia indiana è come trovarsi davanti la tigre del bengala nel mezzo della giungla. Cosa fai davanti alla tigre? Scappi. Alla fine, con i compagni di viaggio, e di avventura, abbiamo ceduto, siamo scappati. E così è finito il viaggio. Con un sorriso davanti al controllo passaporti dell’aeroporto di Fiumicino. Ma l’India ti accompagna sempre, è una voce che ti accarezza il cuore e dice: “Torna!”.
Stefano Cioffi