Lo sguardo di Cioffi, perso nella zona del Monte Croce Comelico (tra il Veneto e l’Alto Adige) e idealmente guidato dal diario di guerra del naturalista e geografo Giovanni De Gasperi (morto in battaglia nel 1916 sul Monte Maronia, vicino a Folgaria – TN), ha vagato, ha tentato di percepire e “sentire” l’orrore e l’insensatezza delle azioni umane, proprio in quei settori di confine, in quelle montagne, dove durante la prima guerra mondiale soldati italiani, provenienti da tutte le zone del paese, e austriaci si fronteggiarono in battaglie violentissime che provocarono centinaia di migliaia di morti. Trincee, fortificazioni, sentieri, pendii, foreste, altipiani pietrosi, radure improvvise. Ancora oggi attraversando questi spazi si possono immaginare, sepolti sotto molti strati di silenzio, il rumore assordante delle esplosioni, la sofferenza dei corpi, le urla disperate. Sembra di poter udire il suono degli ordini militari che spingevano intere generazioni di giovani verso una morte certa. Questi ambienti si manifestano, dunque, come il risultato di una sovrapposizione di eventi destabilizzanti, come il contenitore di un universo di dolore che ha piantato le sue radici su quelle montagne indifferenti. Stefano Cioffi, evitando l’esercizio prevedibile della sterile documentazione geografico-storicistica, ha tentato di mettere in comunicazione profonda la sua sensibilità umana e artistica con l’anima dei luoghi, ha peregrinato per sentieri, crinali e prati tentando un paradossale, quanto acuto, “esercizio filosofico”, ovvero immergersi nello spirito del posto cercando, attraverso la sua esperienza fisica e sensoriale, di coglierne la componente più autentica, cioè la sua anima. Ma tale esercizio intellettuale non è stato, però, effettuato in un “parco” di tipo platonico e Cioffi non si è mosso predisponendosi placidamente ad assorbire (mentalmente) simboli armoniosi e naturali, quanto, piuttosto, comportandosi come un recettore vigile e rigoroso di echi mostruosi e nascosti; ed è così passato dalla possibilità dell’esperienza puramente simbolico-estetica a quella più concreta della memoria. Il suo atto di fabbricazione artistica è scaturito, dunque, dal procedimento di attualizzazione del passato, dall’emersione nel presente di sensazioni che sembravano ormai solo elementi di un ricordo storicizzato. Nel far ciò, non è andato semplicemente alla ricerca dei luoghi di battaglie per fotografarli, ma ha operato attraverso il meccanismo dell’evocazione, trasformando il dispositivo ottico e i propri occhi in filtri in grado di afferrare il peso fantasmatico di un passato tragico e straziante.
Maurizio G. De Bonis