“Non dobbiamo fare nulla, soltanto restare in attesa” afferma Martin Heidegger. Il filosofo ipotizza un’attesa che, pur esprimendo vuoto d’eventi, ha in sé il germe creativo di una preparazione; lungi dall’essere passiva, prelude a un “lasciarsi ricondurre all’aperto di ciò che viene incontro”, all’essenza del pensare. È un atteggiamento di “abbandono alle cose” per avvicinarsi a esse tanto da vederle da un’ottica nuova.
Così, attraverso gli scatti della serie Stillwaiting, Stefano Cioffi indaga il vuoto, la pausa, il silenzio nell’attesa dell’evento; entrando in risonanza con il soggetto, lo fissa in un tempo indefinito di sospensione interiore che si manifesta all’esterno. Dalle sue fotografie chiare e impattanti di un bianco e nero incisivo, traspare l’heideggeriana “attesa che non si attende nulla”, solo uno stare in essa, dove l’abbandono diviene rifiuto di ogni maschera, illusione, sentimentalismo, conoscenza e verità predefinite.
Frutto di un’idea, anche se immediata, e insieme di un dato sensibile, le sue inquadrature partecipano contemporaneamente dell’astratto e del concreto e ne rappresentano, in qualche modo, la soglia e il confine. Il punto di equilibrio fra il mondo interno e quello esterno.
L’attesa è parte stessa della fotografia, la sua creazione interseca e mette a fuoco, blocca o rinvia l’obiettivo dei desideri; l’incontro con l’immagine finalmente realizzata diviene via dell’attesa e del desiderio anche per chi la guarda. La fotocamera di Cioffi cattura l’attesa negli scorci delle città, nei paesi, nelle località marine, nelle discariche, nei luoghi di culto, nei non-luoghi: siti eletti dell’immobilità e del passaggio come le stazioni sotterranee o gli aeroporti.
Qui le presenze umane -riprese o evocate, a figura intera o colte nel dettaglio, riflesse o disegnate dalle proprie ombre- si condensano negli attimi strappati dal flusso temporale per farsi significato. Dal suo lavoro, tuttavia, non appare solo l’impulso a cristallizzare l’irripetibilità del momento. Superando il concetto di istantanea -che presuppone una visione diacronica- in tante sue immagini il tempo si verticalizza in pausa e l’infinito convive con il contingente. Ecco che allora il mondo si trasforma in quinta scenica, in teatro di figura. Elementi architettonici, vicoli, scalinate, porte, finestre, cancelli, portici si rincorrono da una foto all’altra, fungendo da cornice per uno spettacolo reale e metaforico al tempo stesso. Quasi panorama simbolico dove gli attori rappresentano la parte inconscia personale nella comunicazione indiretta d’una storia.
È uno sguardo coinvolto quello di Cioffi, ma che rimane fuori della scena, attento esploratore dei medesimi elementi della visione. Ne risulta un insieme di perfezione formale, contenuto, tempo, azione ed emozione.
Seppure in chiave contemporanea, alcuni ritratti frontali di vita quotidiana davanti alle piccole botteghe -teatrini in bilico tra il reale e surreale- richiamano le composizioni di Izis (Israëlis Bidermanas). Così quei passeggeri colti nella sospensione spazio-temporale del viaggio in treno. Ancora, certi corpi distesi per strada e inquadrati dal basso rievocano i clochard del maestro d’origine lituana.
Sempre nell’ambito della fotografia umanistica, il forte legame di Cioffi con la musica -evidente nella serie Pentagrammi– può innescare corrispondenze con Willy Ronis. Con quest’ultimo condivide l’innato senso del ritmo e della composizione armonica che guida l’occhio dietro l’obiettivo. Le fotografie prese dal vivo e in bianco e nero cercano senza sosta un’inquadratura ‘che sia un accordo riuscito’. Anche Cioffi come Ronis è un compositore d’immagini. Pochi elementi d’apparente semplicità sono riorganizzati attraverso una geometria modulata dal sentimento, capace di evocare suggestioni e atmosfere.
Nei suoi lavori l’attenzione alla forma non è mai ricerca d’algida perfezione, né di un prodotto estetico fine a se stesso. Effetto di riflessione e paziente attesa come pure d’intuito e urgenza emotiva, la sua fotografia è un metodo per guardare e raffigurare i luoghi, gli oggetti, i volti del nostro tempo; “per scoprire e costruire immagini che siano nuove possibilità di percezione” alla maniera di Luigi Ghirri. Dal grande fotografo italiano, Cioffi trae ispirazione anche per quella poetica della meraviglia che abita nel consueto. Il sentimento di “stare nel mondo” con l’idea di qualcosa che irrompe nel quotidiano, proprio dove si pensava che fosse bandito ogni mistero, scrive Ghirri, “è tutto quello che si può chiedere a una fotografia”.